Edizioni Stilnovo
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Indice degli argomenti

  • Articoli di giornale dedicati al saggio di Marco Fusi
  • Articoli e recensioni sul saggio di Susanna Marino e Stefano Vecchia
  • Articoli di giornale dedicati al poeta Natalino Sala
  • Articolo de La Provincia di Como sul saggio di Gianfranco Giudice
  • Recensioni del giornalista Davide Fent sui libri di M.O. Castelnuovo
  • Articoli del Giornale di Erba sulle opere di Maria Orsola Castelnuovo
  • Riepilogo degli articoli di giornale dedicati alle opere di Anita Cerrato
  • Editoriale - Il rispetto dei tempi e dei passi operativi
  • Editoriale - Quis custodiet ipsos custodes?
  • Prefazione del libro Pensieri - Una vita in poesia
  • Intervista ad Anita Cerrato
  • Intervista a Maria Elisa Salese

Articoli di giornale dedicati al saggio di Marco Fusi

Articoli tratti da La Provincia di Como (23 luglio) e dal Giornale di Erba (25 luglio e 1 agosto).

Articoli e recensioni sul saggio di Susanna Marino e Stefano Vecchia

Articoli apparsi sul quotidiano Avvenire, sul sito AsiaNews e sul mensile di Crespi Editori

Recensione apparsa sul numero di dicembre 2020 dei Quaderni Asiatici

6 e 9 agosto 1945. La storia giapponese viene sconvolta per sempre dall’abbattersi di due fulmini a ciel sereno: Little boy e Fat man vengono sganciati dagli americani sulle città di Hiroshima e Nagasaki. Va in scena per la prima volta la tragedia nucleare. Sessantasei anni dopo, nel marzo del 2011, il terremoto e il conseguente tsunami del Tōhoku causano l’avaria dei sistemi di raffreddamento dei reattori della centrale nucleare di Fukushima Daiichi dando seguito alla fusione delle barre di plutonio presenti al loro interno. È l’inizio di una nuova emergenza che vede ancora una volta protagonista la terrificante potenza dell’atomo. Nei dieci anni che ci separano da quest’ultima catastrofe il dibattito sul nucleare si è acceso in tutto il mondo dando adito a un’insicurezza crescente. Da Hiroshima a Fukushima – Il Giappone e l’incubo nucleare tenta di tornare alla radice più profonda del dibattito, indagando sugli effetti, non solo prettamente fisici e ambientali, ma soprattutto sociali, culturali, economici e morali di due eventi che hanno cambiato in modo diverso, ma altrettanto importante la storia dell’umanità. Il volume è diviso in due parti quasi a voler simboleggiare la dualità e l’ambivalenza del tema che ha assunto sfaccettature completamente diverse nelle differenti occasioni. Innanzitutto, il presupposto: mentre il bombardamento nucleare, che ha indirettamente posto fine al secondo conflitto mondiale, ha reso chiare le potenzialità disumane dell’atomo impiegato a livello militare, la questione di Fukushima Daiichi è caratterizzata da una maggiore ambiguità proprio perché quest’ultima (come tutte le altre centrali nucleari), a differenza degli ordigni, doveva essere uno strumento atto a creare benessere economico e invece si è rivelata un demone maligno e incontrollabile. Non solo, nel primo caso la narrazione storica, a torto o a ragione, ha voluto riconoscere il paese del Sol Levante come vittima unilaterale del disastro. Nel secondo è lo stesso governo giapponese a sembrare artefice del proprio male. Eppure, ambedue gli avvenimenti presentano una costante che li accomuna, al di là della corrispondenza geografica: entrambi hanno influenzato la vita di tanti innocenti amplificando l’incubo nucleare nelle menti di milioni di giapponesi. Non per nulla, i neologismi creati per descrivere i reduci dei due disastri nucleari, 被爆者 (hibakusha, persona vittima di un’esplosione) e 被曝者 (hibakusha, persona vittima di una esposizione) sembrano richiamarsi l’un l’altro in un’omofonia tutt’altro che casuale. È proprio per questo che Susanna Marino, autrice di Hibakusha: dopo l’apocalisse nucleare, la prima delle due parti che compongono la pubblicazione, ripercorre il dramma del bombardamento partendo dai numerosi supplizi patiti dai reduci di Hiroshima e Nagasaki. Non solo i lasciti fisici dell’esplosione fra cui si annoverano ustioni, piaghe, malattie della pelle e patologie tumorali, ma anche e soprattutto la stigmatizzazione sociale perpetrata dagli stessi connazionali nei confronti di coloro che avevano visto e vissuto l’inferno in prima persona.Una forma di discriminazione che è nata probabilmente dalla vergogna dei giapponesi per l’umiliazione inenarrabile subita e che si protrae ancora ai giorni nostri. L’unico modo per uscirne è quindi quello di raccontare e mantenere memoria delle storie personali, anche di quei dettagli scomodi che per molti e troppi anni sono stati taciuti sia dagli americani che dalla comunità internazionale. Ristabilire una narrazione fedele per combattere quelle semplificazioni che hanno contraddistinto il racconto della vicenda, come quella che rende Hiroshima simbolo della tragedia e Nagasaki un effetto collaterale spesso ignorato. La filosofia del raccontare viene adottata anche da Stefano Vecchia nella seconda parte del volume:Fukushima ha riacceso il dibattito sul nucleare. Questa volta è necessario innanzitutto mettere ordine nella tumultuosa reazione a catena che partì dal disastroso terremoto dell’11 marzo 2011. Una sequenza che è andata avanti nei mesi successivi e che ancora oggi non può considerarsi conclusa a causa del progressivo esaurimento dei silos di stoccaggio delle acque radioattive che negli ultimi dieci anni hanno limitato la fuoriuscita nel sottosuolo di elementi dannosi per l’ecosistema marino, situazione che secondo i più recenti calcoli rischia di diventare incontrollabile nel prossimo futuro. In questo caso però la drammaticità dell’incidente si è intrecciata con numerose altre circostanze che hanno offuscato fin da subito la reale gravità dell’evento. Come ben ricordato da Vecchia, il disastro di Fukushima “è una questione di diritti umani negati”, ma non si limita solo a questo. Gli interessi economici di un’intera nazione che fino a quel giorno fatidico avevano sostenuto con intraprendenza la politica del nucleare in campo energetico hanno dovuto fare i conti con un rischio che per quanto preannunciato non era stato preso in considerazione, finendo per riaprire quella vecchia cicatrice, mai chiusa, di paura e di dubbio nei confronti dell’atomo. Ciò ha impedito di stabilire con chiarezza chi fosse nel giusto e chi nel torto, aprendo una complessa interrelazione fra il governo, l’opinione pubblica, la comunità internazionale e le aziende private detentrici delle centrali giapponesi, prima fra tutti la Tokyo Electric Company (TEPCO) che gestiva Fukushima Daiichi. Una matassa impossibile da dispiegare che ha dato origine a una serie inevitabile di detti e non detti, scandali e polemiche spesso accompagnati dall’imbarazzo di una classe politica che si è ritrovata fra le mani una patata fin troppo bollente. Per tale motivo, le reali responsabilità della catastrofe sono ancora oggetto di discussione e probabilmente non saranno mai definite. Grazie a una precisa descrizione degli eventi, delle parti e della posta sociale ed economica in gioco, la commistione delle due sezioni del volume riesce a restituire un quadro completo del rapporto dei giapponesi con il nucleare che riesce ad andare al di là del semplice voyeurismo della catastrofe umanitaria (come spesso accade quando si tenta di narrare un orrore di tale portata) ed è in grado di creare interesse e curiosità partecipe nel lettore. E forse è proprio questo il suo più grande pregio: ridare visibilità e problematizzare dei drammi che vengono ricordati più come leggende che come fatti realmente accaduti, soprattutto, complice la lontananza, nell’immaginario europeo. L’incubo nucleare e ancora vivo e radicato nelle anime degli esseri umani, ma parlarne ed empatizzare con chi lo ha vissuto sulla propria pelle sono certamente i primi passi verso una sua migliore comprensione.

 

Niccolò Mangone

Articoli di giornale dedicati al poeta Natalino Sala

Gli ultimi due articoli tra quelli qui di seguito riportati sono dedicati al ricordo dell'autore recentemente scomparso.

Articolo de "La Provincia" di Como sul saggio di Gianfranco Giudice

Il 2 gennaio 2018 il quotidiano La Provincia di Como ha pubblicato un lungo articolo della giornalista Grazia Lissi a proposito del libro Con il sigaro in bocca, scritto da Gianfranco Giudice per la nostra collana di saggistica.

Recensioni del giornalista Davide Fent sui libri di Maria Orsola Castelnuovo

Recensione del saggio Caterina Frigerio - La modella di Segantini in Brianza (1881-1886) apparsa sul quotidiano La Provincia di Como.

Recensione del saggio Il lago Segrino apparsa il 17 luglio 2016 nella rubrica Cultura comasca (pp. 60-1) del quotidiano La Provincia di Como.

Recensione del romanzo Vendetta d’autore apparsa sul quotidiano La Provincia di Como.

Articoli del "Giornale di Erba" sulle opere di Maria Orsola Castelnuovo

Riepilogo degli articoli di giornale dedicati alle opere di Anita Cerrato

Il rispetto dei tempi e dei passi operativi

A prescindere da quali siano le ambizioni (per non dire: i sogni di gloria) che si celano dietro l'iniziativa di avviare un progetto come il nostro, nessuno dovrebbe neanche lontanamente pensare che fare editoria in un momento come questo sia un'impresa facile. Pertanto, in un settore dove ben oltre il 50% delle società chiude entro un anno dall'inizio dell'attività, la sopravvivenza di una casa editrice è legata non solo al disporre di un buon piano aziendale, ma anche e soprattutto alla capacità di rispettarlo. Esiste un'infinità di passi operativi che chi non pratica questo mestiere forse nemmeno si immagina, così come esiste un'infinità di cose che possono andare per il verso sbagliato, come sempre accade laddove sia necessario il concorso di molteplici figure professionali; ma esiste, soprattutto, quell'imprevedibilità legata ai rapporti interpersonali, di cui questo lavoro si nutre avidamente. Tutto questo si traduce in un lavoro incessante, che non sempre tuttavia approda a una pubblicazione o che comunque deve riuscire a sopravvivere a ritardi, contrattempi e delusioni. In conclusione, anche se il periodo di rodaggio di una piccola casa editrice può rivelarsi scoraggiante per i fautori del “tutto e subito”, noi crediamo fermamente che ogni passo operativo andato a buon fine sia da festeggiare come una piccola vittoria, oltretutto ottenuta su un terreno tutt'altro che favorevole.

Quis custodiet ipsos custodes?

Proponiamo come curiosità ai nostri lettori un vecchio editoriale risalente ad alcuni anni fa.

 

Inserendo su Google il nome della nostra casa editrice, dopo i link che ci riguardano direttamente, uno dei primi risultati visualizzati rimanda al sito "www.softwareparadiso.it" che, oltre alla promozione dei propri prodotti, ha sentito il bisogno di compilare una lista di recensioni dei piccoli editori italiani. Con quanta autorevolezza questa operazione sia portata avanti, purtroppo, lo si può desumere dall'allucinante recensione che ci è stata "generosamente" dedicata: l'anonimo autore parte forte sbagliando il nome della nostra società (solo "Stilnovo" anziché "Edizioni Stilnovo"), proseguendo poi tra illazioni (come quella che noi stamperemmo i libri dopo aver ricevuto gli ordini di acquisto... ma da dove è saltata fuori questa scemenza?) e giudizi tanto negativi quanto infondati (la "chiarezza" della nostra attività professionale, in barba ai tanti risultati conseguiti in appena tre anni, sarebbe compromessa dall'indicazione dell'email come strumento per contattarci). Insomma, avrete già intuito che la valutazione finale è, impietosamente, negativa; salvo poi affrettarsi ad aggiungere una precisazione abbastanza incoerente: "Nulla da dire, ovviamente, sulle attività di questa casa editrice"... e finora che cosa avete fatto?

 

Onestamente, non vogliamo nemmeno sapere quale tipo di vantaggio possa derivare dal mettere online una simile "recensione"; l'unica cosa certa è che in questo caso, col pretesto di curare gli interessi degli aspiranti scrittori, non si è fatto altro che gettare fango addosso a chi ha avuto il coraggio di investire nella cultura.

 

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Prefazione del libro  "Pensieri - Una vita in poesia"

Innanzitutto: perché pubblicare oggi un libro di poesie? Partiamo da un dato forse sorprendente per chi non lavora in questo settore: le raccolte poetiche rappresentano una parte non trascurabile dei manoscritti sottoposti a una casa editrice. Questa prolificità deve tuttavia fare i conti con un mercato in cui, se già risulta difficile convincere il lettore ad acquistare il romanzo di un autore esordiente, pressoché impossibile diventa indurlo a interessarsi all’opera di un poeta che non sia già famoso. Ovviamente una piccola casa editrice, perennemente in lotta col bilancio dei costi e dei ricavi, non può permettersi il lusso di pubblicare raccolte poetiche semplicemente perché la società di oggi ha ancora bisogno di poesia, indipendentemente da quanto questo genere di affermazioni possa risultare condivisibile. Pertanto, tenendo presente questo contesto, per rispondere al quesito iniziale dobbiamo fare un passo indietro nel tempo.

 

Gerardo Pandiscia ha composto poesia per una vita intera, partecipando con successo ad alcuni concorsi e pubblicando qualche singolo testo su giornali locali; ma il grosso della sua produzione poetica è rimasto chiuso nel cassetto per interi decenni. Non era comunque destino che la sua opera restasse inedita e, come spesso accade, la svolta è arrivata grazie a un caso fortuito. Quando, durante una delle nostre presentazioni, noi di Edizioni Stilnovo abbiamo casualmente incontrato sua figlia Lucia, subito è nata l’idea di realizzare una raccolta che avesse lo scopo di sottrarre queste opere all’oblio e che pertanto non fosse limitata a una piccola selezione di testi; questo spunto originario è stato poi sviluppato insieme all’autore, che proprio in vista di questa edizione ha preparato anche i commenti ad alcune delle sue opere più significative.

 

Tutta la buona volontà del mondo non sarebbe comunque bastata se non avessimo avuto in mano un’opera di grande qualità, che trae ispirazione dalla voce dei nostri classici sia per trattare i temi della tradizione, sia per dare veste poetica a spunti autobiografici sapientemente rielaborati tramite una forte padronanza del mezzo espressivo. Si è scelto pertanto di presentare questo lungo percorso di vita e di poesia secondo un ordine cronologico, in modo da permettere al lettore di rivivere insieme all’autore le diverse stagioni della sua creazione letteraria. Non è cosa di tutti i giorni tenere fra le mani un libro che racchiude praticamente l’intero cammino di una vita.

 

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Intervista ad Anita Cerrato

D - Come ti sei avvicinata alla scrittura?

R - Ai tempi delle scuole medie ero una fervente lettrice, la scrittura è stata una conseguenza naturale. Ciò che soprattutto spinge a scrivere è la necessità di mettere ordine nei propri pensieri, di ricordare episodi particolari della propria vita, di dare sfogo a una fantasia esuberante. Il bisogno, insomma, di riversare su carta tutto ciò che si sente. Organizzare un racconto o inventare una storia sono passi successivi.

 

D - Quali sono i tuoi autori preferiti? Ritieni che, oltre al tuo stile, abbiano in qualche modo influenzato anche la tua visione della vita?

R - Dostoevskij è stato il mio grande amore nei tempi dell’adolescenza. Virginia Woolf è arrivata successivamente. Pirandello un grande maestro. Credo che sia vero il contrario, non sono gli autori che influenzano la nostra visione della vita, ma scegliamo noi le letture che ci sono più affini.

 

D - Il tuo romanzo d'esordio, Il Sammartino, può sicuramente piacere a un pubblico trasversale; quali tipi di lettori ti piacerebbe riuscire a raggiungere?

R - Uno, nessuno e centomila… chiunque possa trovare un punto di contatto con i miei personaggi e sentirsi, per qualche istante, un po’ meno solo.

 

D - Il Sammartino sta ricevendo un ottimo riscontro da parte dei lettori, eppure ha corso il rischio di rimanere inedito; come è stato vederlo stampato per la prima volta?

R - Ci tenevo a pubblicare questo romanzo soprattutto per rendere imperitura la memoria dei miei nonni. Chiaramente, dopo anni di tentativi, riuscire a pubblicarlo è stato un sogno realizzato ormai inaspettatamente.

 

D - L'edizione de Il Sammartino è impreziosita da una particolare immagine di copertina. Ce ne vuoi parlare?

R - Ilia Rubini è una pittrice e scultrice che opera nel lodigiano. E' una grande amica, che mi ha sempre incoraggiata a insistere nella scrittura. Non solo, è sempre stata certa che, prima o poi, avrei pubblicato la storia dei nonni e io le ho sempre risposto con un disilluso Vedremo. Per incentivarmi mi promise che, se fossi riuscita a pubblicare, mi avrebbe donato una sua opera da mettere in copertina. E' stata la prima persona a cui dissi che, finalmente, avevo trovato una casa editrice interessata a pubblicare il romanzo.

Intervista a Maria Elisa Salese

D - Come è nata la tua passione per la scrittura?

R - Scrivere è sempre stato il modo migliore per esprimere le mie emozioni. Da bambina, da adolescente, ma anche da adulta ho riempito un numero spropositato di diari. La scrittura mi ha aiutata a fare chiarezza dentro me stessa nei momenti più difficili della mia vita. Come potrei non amarla?

 

D - C'è stato un episodio in particolare che ti ha spinta a diventare una scrittrice?

R - Ce ne sono stati diversi. Più che episodi, alcuni li definirei segnali, solo che ci ho messo un po' a decifrarli... per citarne uno, all'esame di terza media i miei professori mi fecero un bello scherzo. Mi interrogarono su una poesia di cui non conoscevo l'autore. Ricordo che entrai nel panico e cominciai a piangere. Così mi rivelarono che l'avevo scritta proprio io, solo che nella tensione dell'esame non l'avevo neppure riconosciuta. Insomma ero già una scrittrice e neppure lo sapevo!

 

D - Nella tua nota biografica vengono citati i tuoi autori preferiti; al di là della predilezione per la forma del racconto, in che modo credi che abbiano influenzato il tuo modo di scrivere?

R - Dopo aver letto Piccoli racconti di misoginia di Patricia Highsmith, La vendetta di Agota Kristof e Incubo a seimila metri di Richard Matheson, tutte raccolte di racconti noir, horror, grotteschi e surreali, mi si è aperto un mondo al quale ho cominciato ad avvicinarmi con grande interesse. Non credo che questi autori abbiano influenzato il mio modo di scrivere, tuttalpiù mi hanno confermato che tutte le storie che avevo in testa potevano essere raccontate così come io le racconto. Mi hanno spinta a osare e a non temere il giudizio del pubblico. Mi hanno in qualche modo sbloccata! E ancora una volta devo ringraziare mio fratello, perché sono libri che mi ha regalato lui.

 

D - chiarOscuro affronta differenti tematiche, ricorrendo spesso all'ironia e allo straniamento per spiazzare il lettore e indurlo a riflettere; si tratta di un esperimento o piuttosto di un tratto fondamentale del tuo stile?

R - Lo straniamento è indubbiamente un tratto fondamentale del mio stile, sebbene in chiarOscuro io abbia voluto sperimentare diverse tecniche narrative. Per quanto riguarda l'ironia, è una caratteristica fondamentale non solo della mia scrittura, ma anche del mio vivere quotidiano. Un meccanismo di difesa con il quale riesco a sdrammatizzare anche le situazioni più tragiche e imbarazzanti.

 

D - Come è stato vedere il libro stampato per la prima volta?

R - Vedere il libro stampato non è stato solo realizzare un sogno, ma viverlo! L'emozione che ho provato quel giorno la rivivo ogni volta che prendo il libro dalla mia libreria, lo sfoglio, lo rileggo o semplicemente lo tengo tra le mani... e lo faccio spesso.

 

D - chiarOscuro ha beneficiato anche di una collaborazione con tuo fratello Luciano, autore dell'illustrazione usata per la copertina e anche di uno dei racconti; avete in programma di ripetere questo sodalizio artistico?

R - Sicuramente sì! Ci tengo molto alla sua collaborazione. Oltre a essere molto bravo a scrivere e disegnare, è un gran lettore e sa sempre darmi buoni consigli. E' l'unica persona da cui accetto qualsiasi tipo di critica.

 

D - Vuoi fare un accenno a quali saranno i tuoi progetti futuri?

R - Sta già prendendo forma la mia seconda raccolta di racconti, che ha già un titolo: Ritratti. Ma nei miei progetti c'è anche l'intenzione di scrivere un romanzo e credo che le premesse per riuscirci ci siano tutte!

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